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Adozione mite

  • Immagine del redattore: Domenico Antonio Lamanna Di Salvo
    Domenico Antonio Lamanna Di Salvo
  • 13 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 17 ott

L’adozione mite è una particolare tipologia di adozione, in quanto, pur sussistendo un'inidoneità genitoriale, si vuole tutelare l’interesse del minore a mantenere un rapporto con la famiglia di origine. Ovviamente, si tratta di un’ipotesi che deve essere vagliata attentamente dal giudice, in quanto il bambino viene adottato, ma conserva il legame con i genitori biologici. Tale particolarissima forma di adozione è stata attuata, per la prima volta, dal Tribunale per i minorenni di Bari, con una pronuncia del 7 maggio 2008.

Prima della storica pronuncia del Tribunale barese, l’adozione mite risultava sconosciuta nell’ordinamento italiano. In realtà, come evidenziato dalla CEDU, alcuni Tribunali Italiani avevano già interpretato estensivamente l’art. 44 della 184/83 e introdotto l’adozione semplice nei casi in cui non era stato accertato il completo abbandono del minore. Quindi, prima di decidere se un bambino possa essere dichiarato adottabile e prevedere la definitiva rottura del legale familiare biologico, secondo l’Alta Corte, costituirebbe obbligo delle autorità italiane di adoperarsi in maniera adeguata per fare rispettare il diritto del genitore a continuare il legame con il proprio figlio, al fine di evitare di incorrere nella violazione del diritto al rispetto della vita familiare sancito dall’articolo 8 CEDU” (CEDU, 21 gennaio 2014, Zhou c/ltalia; similiter, CEDU, 13 ottobre 2015, S. H. c/ltalia).

Il giudice chiamato a decidere sulla dichiarazione di adottabilità, cioè sullo stato di abbandono, deve preliminarmente accertare la sussistenza dell’interesse del minore a conservare il legame con i genitori biologici, in considerazione dell’affetto dimostrato dagli stessi. In assenza di questo interesse (ad esempio, perché il padre e la madre sono assolutamente incapaci di prendersi cura del proprio figlio anche dal punto di vista educativo), allora sarà più opportuno optare per l’adozione piena e legittimante.

L’adozione mite è stata “confermata” dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n.35840/2021 del 22 novembre 2021. Con tale pronuncia gli Ermellini hanno di fatto dato il via libera una volta per tutte all’istituto dell’adozione mite, affermando che deve essere disposta “nei casi di abbandono semipermanente o ciclico in cui alla sussistenza di una grave fragilità genitoriale si associa la permanenza di un rapporto affettivo significativo“ così da palesare, sempre nel prioritario interesse del minore, che “all’accoglienza nella nuova famiglia si accompagni la permanenza di rapporti di fatto e giuridici con la famiglia di origine”.

In Dottrina e Giurisprudenza è, poi, sorto il problema di armonizzare e distinguere le diverse forme di adozione. Recentemente, la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. I, ord. 13.05.2024, n. 12977) ha cercato di fare chiarezza sul punto. Secondo gli Ermellini, "il giudizio di accertamento dello stato di adottabilità di un minore, ai sensi degli artt. 8 e ss. l. n. 184 del 1983, e il giudizio volto a disporre un’adozione “mite”, ex art. 44, lett. d), della medesima legge, costituiscono due procedimenti autonomi, di natura differente e non sovrapponibili fra loro. Ciò non toglie che, nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità, è possibile verificare se l’interesse del minore a non vedere recisi i legami con i genitori naturali debba prevalere o meno rispetto al quadro deficitario delle loro capacità genitoriali, fino ad escludere lo stato di abbandono, lasciando che, comunque, venga previsto, almeno in via temporanea, un regime di affidamento extrafamiliare, potenzialmente sostituibile da un’adozione minore.

Diversa dall’adozione mite è, invece, la pronuncia che accerti lo stato di abbandono – e dunque l’adottabilità del minore – ma, nell’assumere i provvedimenti nell’interesse del fanciullo, in applicazione dell’art. 19, comma 2, l. n. 184 del 1983, può consentire il mantenimento dei contatti del minore con la famiglia di origine".

Possiamo, pertanto, affermare che tale istituto, nato nella prassi, si situa a metà strada tra l’adozione e l’affidamento etero-familiare.

Dobbiamo, adesso, chiarire in quali casi si può ricorrere all’adozione mite.

L’adozione mite può essere pronunciata in tutti quei casi in cui i genitori versano in condizioni economiche precarie, soffrano di gravi malattie ovvero nei casi di affidamento sine die. In genere, l’affido non può durare più di ventiquattro mesi. Tale termine, però, può essere prorogato dal tribunale qualora la sospensione possa recare un pregiudizio al bambino. Se il progetto viene reiterato di volta in volta, tanto da essere a tempo indeterminato, si parla di affido sine die (cioè senza scadenza). Tale eventualità ricorre quando, decorso il termine previsto nel decreto del giudice, non sussistono le condizioni affinché il minore possa ritornare dalla sua famiglia.

Il Tribunale barese ha, poi, disposto che, allorché si faccia luogo ad adozione mite, il minore può assumere il cognome dell’adottante, sostituendolo al proprio, quando detto cognome valga ormai ad identificare la persona, risultando dunque segno distintivo della sua identità personale. A nostro parere, l’istituto ha un notevole valore giuridico e sociale, in quanto realizza – anche in assenza di alcuni presupposti dettati dalla legge 184/83, la realizzazione del supremo interesse del minore (da valutare nel caso concreto) e, pertanto, deve essere interpretata come un utile e versatile strumento a disposizione dei nostri Tribunali.


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